Rachelle Julienne Njanta
Rachelle Julienne Njanta
Il continuo confronto della sua femminilità con modelli diversi la mette a dura prova, perché è costretta ad interrogarsi su tutti i concetti e i valori che fino allora non aveva mai messo in discussione.
Ogni cultura, infatti, assegna ruoli specifici al maschio e alla femmina, nello stesso modo in cui si stabilisce il concetto di bellezza e di mascolinità
In alcune culture africane, ad esempio, da una parte, il vero uomo è quello che ha già edificato una casa per accogliere una donna, dall’altra parte la bellezza della donna si può riconoscere attraverso le cicatrici prodotte appositamente in certe parti del corpo,(tipo di tatuaggio tradizionale), la deformazione dei lobi delle orecchie o delle labbra.
Una donna africana che arrivi con questi segni, che fino allora rappresentavano per lei e la sua cultura un segno di bellezza, sicuramente sarà messa a dura prova, dai sguardi e dalla curiosità dei passanti. Frequentemente emergono sentimenti di scontro con la propria cultura che mettono in discussione tutto ciò che le è stato trasmesso, e che fino ad allora erano delle certezze; a questo punto può sorgere una scarsa autostima che può trasformarsi in una strisciante depressione, perché la donna non si riconosce più in quello che sin da piccola ha dovuto imparare, e accettare come sua cultura da trasmettere in futuro ai propri figli.
L’identità femminina è messa a dura prova in tutti gli ambiti e a tutti i livelli; come figlia, come moglie, come madre, come membro della propria cultura, e soprattutto come membro della nuova società nelle quale dovrà vivere. Immaginiamoci quindi il suo stato d’animo quando si sente osservata sia per il colore della pelle che per i suoi vestiari, molto spesso considerati come “parure carnevalesche”, o per i tratti di bellezza riportati dalla sua cultura. Sicuramente percepisce una curiosità non sempre benevola da parte di chi la guarda e questo sicuramente compromette la sua sicurezza nell’affrontare la vita quotidiana.
A tutto questo si aggiunge la divisione sessuale del lavoro. In genere sono le donne ad occuparsi sia delle faccende domestiche, che dell’educazione e della cura dei figli, che in questa nuova realtà devono affrontare senza il sostegno della comunità e della famiglia allargata, che svolgono un ruolo importantissimo nella crescita e nell’educazione dei figli. In fatti i figli appartengono alla comunità stessa e non soltanto al nucleo familiare che li ha generati, essendo un diritto-obbligo della comunità stessa, la partecipazione alla educazione a secondo dei principi stabiliti dalla stessa.
Nel primo periodo, dopo il suo arrivo nel paese prescelto (nel nostro caso l’Italia), la donna immigrata dipende quasi completamente dal marito, che di solito la precede e, quindi, sarà lui il suo portavoce e punto di riferimento in tutto e per tutto.
Passa molto tempo da sola, visto che il marito deve andare a lavorare, senza possibilità di muoversi perché limitata in tutti i sensi della parola. Dove andare? cosa fare? E soprattutto come esprimersi per trasmettere i suoi bisogni? Questa prima fase d’inserimento può essere segnata da tanta solitudine e nostalgia, senza un supporto amicale, sociale. Quindi sarà l’uomo che si occuperà della spesa, di scegliere i prodotti per la pulizia e per l’igiene personale, la donna dovrà occuparsi della pulizia della casa e della preparazione dei pasti.
Ma, come preparerà da mangiare cose che non conosce? Come fare ad elaborare dei cibi con dei prodotti sconosciuti? I prodotti per la pulizia, come si usano?, per cosa servono?. Ai suoi stessi occhi e non solo a quelli del marito rischia di apparire inutile e incapace , inappropriata nel suo ruolo e nelle sue competenze che prima d’allora non erano mai state messe in discussione
Se ci sono dei figli, ovviamente sarà lui a occuparsi dell’iscrizione a scuola ma, sicuramente non riuscirà a star dietro alle esigenze imposte dalla frequenza a questa come ad esempio, l’acquisto del materiale scolastico, i colloqui con gli insegnanti, ma farà difficoltà anche seguirli o supportarli nei compiti scolastici, tutte questioni che erano di competenza materna nel paese d’origine.
Non è solo la dipendenza esterna che pesa alla donna straniera ma soprattutto quel sentirsi dentro di sé incapace di fare quello che prima sapeva fare. Quelle che erano le sue destrezze, certezze e qualità come donna rischiano di crollare in un mare di situazioni che riducono in modo drastico la propria autostima, incrementando solo solitudine e sofferenza.
Lei sa di non parlare bene e a volte non sa proprio nulla della nuova lingua e comunque i suoi sforzi saranno molto spesso indirizzati da qualcuno che le suggerirà di partecipare a corsi d’italiano per stranieri. Con quale coraggio potrà uscire di casa? Prendere l’autobus per andare a scuola? Chi baderà dei suoi figli perché lei possa assistere a questi corsi?
La donna immigrata che non ha raggiunto un grado d’indipendenza e che non è riuscita a raggiungere un po’ di sicurezza in se stessa, che vive questa frammentazione della sua stessa identità come donna, che vive in condizioni di precarietà sociale, economica e psicologica come crescerà i suoi propri figli?
Come essere di supporto ai figli quando lei stessa è carente di questo? Come promuovere un inserimento sociale e linguistico dei figli quando lei stessa non è in grado di farlo?
Con quale immagine dei genitori crescono i figli degli immigrati? I minori stranieri vorrebbero che i loro genitori fossero come quelli dei loro compagni e questo genera un nuovo dramma all’interno delle famiglie immigrate.
Quando una donna immigrata supera il trauma dello spaesamento, del sentirsi completamente dipendente del marito, prende un po’ di fiducia in se stessa e inizia un percorso di ristrutturazione della sua identità frammentata, inizia ad avere il coraggio di andare al supermercato, superando il disagio degli sguardi di chi osserva la sua bellezza esotica, si trova di fronte agli scaffali e si scontra con altre difficoltà: come fare a scegliere il prodotto giusto? Ci sono almeno dieci marche diverse di un solo prodotto, quale scegliere?
E troverà la commessa disponibile e paziente, capace di offrirle spiegazioni che le occorrono per fare una scelta dell’acquisto giusto? In genere saprà esprimere il suo desiderio per togliersi dei dubbi? Nonostante ciò la spesa la fa.
Poi arriverà a casa con la sua grande conquista di avercela fatta da sola, per sentirsi rimproverare sia dal marito, (nella scelta del supermercato o, nella scelta dei prodotti) o dai figli per non avere acquistato le merendine che i compagni portano a scuola, ecc. ecc.
Ci sono da considerare anche le donne immigrate che diventano madri in Italia: quanta paura, solitudine affrontano nel sentirsi da sole con una responsabilità nella cura del figlio, senza i consigli e supporto dei genitori e della famiglia nel senso africano della parola (evocare casi delle partorienti in africa)
Fra le donne straniere, quelle che vivono la più grande solitudine e sofferenze di tutte, sono le donne che rendono alle famiglie italiane la vita meno pesante prendendosi cura degli anziani. Sono loro che insegnano a tante di noi cosa che vuol dire sacrificio e dono di vita per i propri cari, (anche se a volte abbandonano i propri cari nella speranza di migliori condizioni di vita).
Vi immaginate una giornata, una settimana, o un mese dedicato alla cura e attenzione di una persona anziana 24 su 24? Senza un supporto affettivo, sociale, amicale e di coppia?. E anche se hanno la giornata libera, dove vanno? cosa fanno? come passano il loro tempo libero? (il progetto del punto donne per l’intercultura è rivolto anche a loro. Stiamo pensando a creare un quadro per loro durante le loro poche ore di libertà, per dare loro una possibilità di sfogarsi di tutto lo stress accumulato fra le quattro mura).
Noi donne del mondo abbiamo il dono della maternità nel senso della generosità, mediazione, amore,. Non possiamo essere indifferenti alle sofferenze altrui.
Tocca a noi tessere con forza una rete di solidarietà fra donne, una rete che possa agevolare e facilitare l’inserimento di queste nuove utenti sul territorio pratese.Tutti vogliamo un mondo migliore. Ma cosa facciamo per che questo si concretizzi?
Dobbiamo riscattare dei valori come l’altruismo, solidarietà, condivisione, senso dell’umanismo che secondo me stanno sparendo per fare posto a un individualismo devastante, Iniziamo fra di noi donne a tessere questa solidarietà, fra donne, qualunque siano la nostra provenienza, livello linguistico, culturale e sociale.
Vi invito a aiutare il “punto donne per l’intercultura” che è una iniziativa di donne per le donne. Uno spazio d’incontro e scambio fra donne, dove possiamo approfondire alcune tematiche, riflettere, e crescere come donne, uno spazio che potrebbe diventare l’inizio della condivisione e della diffusione di questi ideali di bene comune.
C’era nel mio paese una trasmissione col titolo “entre-nous mesdames”. Vorrei che nostro sportello diventi come questa platea, dove delle donne aiutando e orientando le donne, risolvono i problemi di famiglie intere.