Storia di una riconversione
Storia di una riconversione
Dal gesso al cencio ovvero dalla lavagna al pavimento
Marie Ivonne, insegnante in un liceo del suo paese, arriva in vacanza in Italia per la prima volta nel 1992, dove suo marito, nel 1991, grazie ad una borsa di studio dello Stato del Camerun, nel 1991 ha avuto la possibilità di andare per proseguire gli studi in specialistica. Nei suoi tre mesi di permanenza in Italia, non ha la possibilità di percepire tutta la realtà della vita quotidiana e non tocca da vicino le problematiche legate alla condizione d’immigrata. Lei pensa che sia tutto bello perché vive in maniera spensierata con suo marito all’interno della casa dello studente. In quel periodo non ha nessuna spesa da sostenere, tranne quelle legate ai bisogni quotidiani, tutto procede regolarmente perché non sa cosa significa pagare l’affitto, le bollette e provvedere al sostentamento dei figli e della famiglia rimasti in patria. La prima percezione che lei aveva del rapporto interpersonale era di un’amicizia apparentemente sincera, leale, cordiale, ma con il passare del tempo ha dovuto ricrederci.
Una volta terminate le vacanze, lei ritorna al suo paese tra i banchi di scuola dove l’aspettano i suoi giovani amici, cosi amava chiamare i suoi alunni. Era una sfida per lei che gli alunni delle sue classi fossero tra i migliori del liceo, perché il suo impegno era tanto e lei amava il suo lavoro. Insegnare era la sua vita e dava il meglio di sé per dare soddisfazione ai suoi giovani amici, al preside e soprattutto a se stessa. Fuori dall’orario di lezione aiutava i ragazzi di altre classi a pubblicare il giornalino della scuola, nel quale ognuno era libero di esprimersi sui problemi riguardanti la scuola e i rapporti con gli insegnanti. Le soddisfazioni non mancavano mai, lei era sempre ripagata, sia dai buoni voti del preside alla fine dell’anno e sia dai risultati scolastici dei suoi alunni. Ma come sappiamo bene, tutte le belle cose hanno vita breve, la svalutazione della moneta nazionale costringe il governo a diminuire gli stipendi e anche il salario mensile di Marie Ivonne verrà dimezzato, mettendola così in gravi difficoltà economiche tanto da non riuscire più far fronte ai bisogni della sua famiglia. Da lì con l’aiuto del marito comincia a maturare un piano per il “ricongiungimento”. Ecco che nel Luglio del 1995 si ritrova nuovamente in Italia. Questa volta per sempre. Da questo momento in poi comincia la via crucis perché, la sua condizione non è più quella di persona in vacanza, ma di una immigrata.
La sua percezione del rapporto con il mondo esterno, che all’inizio credeva fosse vero, comincia a presentare degli aspetti negativi inattesi, in grado di pesare negativamente sulla bilancia delle relazioni che lei era riuscita a elaborare e che col tempo si sono avverati davvero traumatizzanti per la nostra ormai “ex professoressa” E’ ritornata per stabilirsi e dovrà fare di tutto per riuscirci. Intanto i soldi della borsa di studio del marito non bastano e la nostra amica deve trovare velocemente qualcosa da fare. Con l’aiuto della rete di connazionali presenti sul territorio, riesce ad avere gli indirizzi dei punti di accoglienza dove è anche possibile trovare un lavoro. Marie Ivonne si impegna tutte le mattine a cercare un lavoro, ma purtroppo i risultati sono sempre negativi e lei comincia a rimpiangere il lavoro che ha abbandonato nel suo paese, nonostante lo stipendio fosse insufficiente ma per lo meno era sicuro.
La prima offerta di lavoro fu la raccolta del tabacco, impresa impegnativa, stancante ed umiliante per la nostra insegnante. A malincuore accetta l’offerta, e tutte le mattine, durante la stagione della raccolta, si deve alzare alle cinque per poi fare ritorno a casa alle otto di sera dopo una giornata di dodici ore di lavoro sotto il sole cuocente dell’estate e una sola ora di pausa, lei che era abituata a fare rientro a casa alle quattro del pomeriggio dopo sette ore di lezioni e due intervalli. Finita la stagione del tabacco, la nostra amica si ritrova di nuovo a casa, e di nuovo ricomincia la sua ricerca di lavoro. Tutti i tentativi saranno vani e alla fine sarà costretta a spostarsi verso il centro Italia dove sarà accolta da una cognata, che da anni vive in Italia. Anche qui, il dispiacere della nostra amica continua a crescere, perché era convinta che in Toscana sarebbe stato più facile per lei mettere in pratica ciò che aveva studiato nel suo paese. Avrebbe potuto fare la segretaria in qualche ufficio, o comunque fare qualcosa di diverso da tutto quello che facevano gli intellettuali immigrati. Niente di tutto questo accade, per non continuare a stare in casa e a pesare sulla cognata, accetta la proposta di fare “la badante”, che cosa questo significasse lo ignorava, per lei l’importante era lavorare. Solo col tempo capì cosa significasse essere privata della propria libertà, dormire in casa di una persona estranea, lavorare tutta la giornata e avere poche ore di riposo (e soprattutto di sonno) perché la signora che accudisce non dorme di notte presa da allucinazioni. Marie Ivonne le deve stare dietro tutta la notte, per evitare che si faccia del male, finché la signora non si addormenta poche ore prima dell’alba. La situazione dura sei mesi perché purtroppo muore l’anziana signora.
Ricomincia così il calvario per la nostra amica che impiegherà altri tre mesi per trovare un altro lavoro, sempre di assistenza ad una persona anziana. Questo lavoro è ancora più difficile del primo perché la povera nonnina aveva proprio perso il senso del tempo, dormiva tutta la giornata e rimaneva sveglia per tutta la notte. Anche il marito, come lei, pur di avere soldi per mandare avanti la famiglia dovette mettere il suo diploma dentro un cassetto e cercare un lavoro qualsiasi. La situazione dura poco perché Marie Ivonne incontra una gentile amica americana che le propone di lavorare in un albergo, occasione da cogliere al volo perché questo significava per lei di tornare a casa dopo la giornata di lavoro. In poche parole significa LIBERTA’. Lavorare in un albergo le sembrava di aumentare di grado, anche senza sapere in che cosa consisteva il lavoro, era contenta perché per lei questo significava salire un gradino in più nella scala sociale, niente poteva essere peggio di rimanere rinchiusa ventiquattro ore fra le mura di una casa. Le bastò solo un giorno di lavoro per capire che si trattava di una corsa contro il tempo, le camere dovevano essere fatte velocemente, difficoltà che la nostra amica è riuscita a superare solo dopo qualche giorno di lavoro. Ne valeva la pena. L’unica cosa che contava era la libertà acquisita anche se la soddisfazione lavorativa era ancora lontana.
Durante la sua esperienza lavorativa come cameriera in albergo sono emerse altre sue doti, come quella di traduttrice. Tante volte è stata chiamata a leggere e a tradurre per i responsabili dell’albergo i bigliettini di congratulazioni o di lamentele, scritti in inglesi o in francese, lasciati in camera dai clienti. In alcune occasioni si è ritrovata ad aiutare le sue colleghe italiane che sbagliavano a scrivere delle parole in italiano. Dopo l’esperienza in albergo Marie Ivonne continuò a cercare un posto per poter svolgere il suo lavoro, l’insegnante, ma si ritrovava sempre dei muri davanti. Un giorno alla sua richiesta di fare anche un dopo scuola per gli alunni di un paesino dove si erano trasferiti, si sentì rispondere che nessun genitore avrebbe mai accettato di mandare il suo figliolo in una scuola dove l’insegnante non era italiana e addirittura “di colore”. Quest’ennesima doccia fredda non scoraggiò la nostra donna, che iniziò a studiare con l’intento di essere veramente utile in questo paese. La sua ultima pergamena – dopo tantissimi altri corsi (con tanto di attestato) – è il diploma, ottenuto dopo il conseguimento di un corso regionale, per la formazione di Tecnici Qualificati per la Mediazione Culturale e Linguistica per l’immigrazione. Diploma che è rimasto nel cassetto del comodino, anche se ogni tanto Marie Ivonne viene invitata ad intervenire durante le manifestazioni organizzate in tema di immigrazione.
Nonostante tutti questi ostacoli, il morale della nostra donna non viene intaccato, è sempre tanta la sua voglia di dimostrare a tutti, che l’immigrato, non è soltanto un “vu cumpra”, che viene respinto appena si avvicina. Ora sta seguendo un altro corso, e quando le amiche le chiedono il perché di tutti questi corsi, lei risponde che continuerà a studiare finché uno di questi attestati non le aprirà la porta nella quale vorrebbe entrare. Vuole dimostrare a tutti che le donne, che come lei arrivano in Italia con un back-ground culturale che merita rispetto e un notevole bagaglio intellettuale, anche loro hanno qualcosa da insegnare agli italiani. Non dobbiamo dimenticare che a questa difficoltà di inserimento lavorativo si sono aggiunti tanti altri disagi, soprattutto sul piano culturale. Più di una volta Marie Ivonne si è ritrovata in situazioni in cui avrebbe avuto bisogno di un sostegno morale, materiale e fisico, com’era in usanza nel suo paese, ma purtroppo dovette arrendersi all’intolleranza e all’indifferenza dei vicini. Recentemente non potendo sfogarsi all’annuncio della perdita di un suo caro rimasto in patria, si è vista condannata a contenere il suo dolore al rischio di rimanere soffocato, perché ha capito, che qui non si urla, nemmeno per un lutto. Tutti i sentimenti devono essere contenuti e controllati.
Che dire fra l’altro di queste donne incrociate per strada, quando andava in giro con la cognata spingendo la bambina in carrozzina? Senza nemmeno degnare uno sguardo la mamma si abbassavano per accarezzare e coccolare la bambina. Lei avrebbe tanto desiderato capire il perché di quest’atteggiamento e si chiedeva se questo gesto era sincero, oppure era un modo di controllare se la pelle della bimba era simile di quella di un bambino italiano della sua età.
Quando qualcuno le domanda se si sente “integrata” in questa società, lei risponde sempre: “In Italia sono già state fatte molte cose utili all’inserimento degli immigrati, ma tanto rimane ancora da fare…Mi sentirò integrata solo il giorno in cui non mi sentirò rispondere durante un colloquio di lavoro, con delle frasi discriminatorie riferite soltanto alle mie origini e al colore della mia pelle, oppure quando smetteranno di riservare a noi immigrati solo i lavori che non vogliono più fare gli italiani. Mi sentirò integrata quando sarò valutata in base al mio curriculum e non alla mia persona”.
Nana Marie Ivonne è rimasta col cencio in mano, perché nonostante tutti i corsi, l’ultimo lavoro da lei fatto è quello di cameriera ai piani. Quando gli italiani capiranno che le persone immigrate vanno giudicate per ciò che fanno o per ciò che sono in grado di fare, e non per i pregiudizi legati alle loro origini, comincerà ad instaurarsi un vero rapporto bilaterale favorevole ad un dialogo interculturale, equo e sincero, e importante per la convivenza fra le diverse comunità.
di Rachelle Julienne Njanta